
Il professor Saverio Mecca ci guida in una riflessione sul modo in cui il territorio influenza l’antropizzazione e su come il concetto di prossimità – fisica e immateriale – sia l’essenza del vivere urbano e si possa tradurre a livello urbanistico, abitativo e lavorativo, mentre informa anche l’idea di uguaglianza e cittadinanza, diventando baluardo della dignità personale e dei diritti umani.
Mi ha colpito l’articolata riflessione sul tema della prossimità e sulla sua relazione con la felicità che ha proposto nel libro Prossimità. Il benessere della città del futuro*.
La felicità è profondamente intrecciata con la qualità delle relazioni fra le persone e i luoghi, con la possibilità di vivere in un ambiente che favorisca la connessione sociale e l’intensità emotiva. La prossimità si intende generalmente come accessibilità fisica e sociale a risorse, persone e servizi, una condizione che si ritiene necessaria e sufficiente per una vita più soddisfacente e armoniosa. Le città, direi meglio le metropoli, organizzate secondo principi di prossimità fisica, permettono una riduzione dello stress quotidiano legato agli spostamenti, un miglior accesso ai servizi essenziali e forse, implicitamente, una maggiore capacità di creare reti di supporto sociale, elementi chiave per il benessere individuale e collettivo.
Ma se la prossimità fisica è determinante, forse non è del tutto sufficiente: più importante è la prossimità immateriale, ovvero non solo l’accesso equo a opportunità culturali, educative e relazionali, ma soprattutto la percezione della vicinanza dell’ambiente urbano. La digitalizzazione e le nuove tecnologie hanno ampliato il concetto di prossimità, permettendo connessioni e scambi che vanno oltre la distanza geografica, ma nel periodo della clausura del 2020 abbiamo, in molti casi con dolore, sentito il valore della vicinanza, della prossimità con le persone, con le piante e gli animali, con tutto l’ambiente e la vita.
Lei sostiene che la prossimità sia un diritto soggettivo, come estensione del principio di uguaglianza e dignità. Quanto pesa la disuguaglianza nelle transizioni ecologiche e digitali?
Il diritto alla prossimità può essere considerato come un’estensione del principio di uguaglianza e del diritto a una vita dignitosa. Esso sottolinea l’importanza della vicinanza fisica e virtuale tra le persone, non solo come fattore che promuove l’interazione sociale, ma anche come elemento fondamentale per garantire l’accesso a servizi essenziali: salute, opportunità economiche, istruzione, cultura e benessere.
Il diritto alla prossimità è una dimensione della giustizia sociale, poiché garantisce l’accesso equo alle risorse, ai servizi e alle relazioni con l’ambiente culturale e naturale. Le transizioni ecologiche e digitali, se non adeguatamente governate, rischiano di ampliare le disuguaglianze anziché ridurle. Per questo, la pianificazione urbana deve orientarsi verso una distribuzione equa delle infrastrutture di mobilità sostenibile, delle tecnologie e degli interventi di rigenerazione urbana.
Porre la prossimità al centro della progettazione degli ecosistemi urbani significa coniugare benessere, salute e diritto alla città, come affermato da autori come Henri Lefebvre. Il diritto alla città implica la possibilità di trasformare lo spazio urbano per soddisfare le esigenze delle persone, favorendo la loro autonomia e capacità di partecipazione attiva.
Il concetto di dignità si lega strettamente alla prossimità. A differenza del prezzo, che può essere assegnato a beni materiali e qualità sostituibili, la dignità è un valore assoluto, intrinseco e inalienabile. Immanuel Kant la definisce come la capacità dell’individuo di agire secondo principi razionali e di essere fine a se stessa, non un mezzo. Rispettare la dignità significa garantire le condizioni affinché ogni individuo possa sviluppare pienamente le proprie capacità.
Martha Nussbaum ha approfondito il concetto di capacità proponendo la distinzione delle capacità umane in due livelli: quelle di primo livello, che includono la soddisfazione dei bisogni primari del corpo, della mente e delle relazioni sociali; e quelle di secondo livello, che riguardano la realizzazione di una vita piena, la possibilità di amare, apprendere, riflettere e interagire con la natura e la società. La prossimità garantisce il contesto in cui queste capacità possono essere esercitate e sviluppate, consentendo a ciascuno di raggiungere il proprio potenziale. È quindi un dovere delle istituzioni predisporre le condizioni materiali e immateriali affinché gli individui possano prosperare, contribuendo al benessere collettivo.
Come valuta lo stato dell’arte dell’urbanistica in Italia rispetto al processo di transizione ecologica?
L’urbanistica italiana sta affrontando una transizione verso modelli più sostenibili, ma il cambiamento è ancora frammentato. La normativa e la pianificazione spesso procedono a compartimenti stagni, senza un approccio realmente sistemico. L’Agenda 2030 offre un quadro di riferimento chiaro, ma la sua implementazione richiede strumenti di governance più efficaci e una maggiore integrazione tra politiche ambientali, sociali ed economiche.
A questo si aggiunge un ulteriore elemento di riflessione: la tradizionale concezione dell’urbanistica come semplice disegno urbano, e come strumento per contenere l’espansione fisica delle città e gli interessi immobiliari e della rendita, sta progressivamente esaurendosi. È necessario ripensare il ruolo dell’urbanistica in un’ottica più ampia, capace di superare le logiche strettamente normative e immobiliari e di recuperare una visione e una pratica progettuale olistica e sistemica. L’urbanistica non può più limitarsi a regolamentare la crescita urbana o a stabilire limiti alla rendita edilizia, ma deve diventare uno strumento attivo nella definizione della qualità della vita urbana, ponendo al centro la progettazione dello spazio pubblico.
Lo spazio pubblico, storicamente subordinato alla mobilità automobilistica e spesso progettato secondo criteri di mero decoro, deve diventare il luogo centrale della cittadinanza e della prossimità, dell’urbanità. La sua funzione non può più essere ancillare rispetto all’infrastruttura viaria o all’edificazione privata, ma deve costituire il cuore pulsante della vita urbana, uno spazio pensato per l’incontro, la socializzazione e la qualità dell’abitare. Ripensare lo spazio pubblico significa costruire città più accoglienti, inclusive e sostenibili, capaci di rispondere ai bisogni emergenti delle persone e delle comunità, di ridurre le diseguaglianze di genere e generazionali e di favorire una nuova cultura urbana fondata sulla prossimità e sul benessere collettivo.
Quali strumenti possono accompagnare le città in questa transizione?
Per guidare le città nella transizione verso un modello urbano più sostenibile e inclusivo, è necessario adottare una doppia prospettiva nella pianificazione dell’ecosistema urbano. La prima dimensione è quella della pianificazione ecologica, che deve essere fondata sugli elementi fondamentali della città e del territorio: l’acqua, l’aria, il suolo, l’energia, la biodiversità, la mobilità e la prossimità. Questi fattori non possono essere trattati come aspetti separati, ma devono essere integrati in una visione sistemica che consideri la città come un organismo complesso, in equilibrio dinamico con il suo ambiente. Ciò significa considerare non solo le persone, in tutte le loro articolazioni, ma anche gli animali e le piante, secondo una visione “One Health”, che riconosca l’interconnessione tra salute umana, salute animale e salute ambientale.
Accanto a questa, è indispensabile una pianificazione gerarchica, necessaria per gestire la complessità dell’ecosistema urbano. Tale approccio prevede a sua volta almeno due livelli di intervento. Il primo è quello generale, che ne costituisce l’ossatura e che ha il compito di definire le decisioni e le regole generali capaci di garantire la sostenibilità globale. Questo livello deve individuare gli ambiti urbani, di prossimità, ovvero le unità fondamentali in cui articolare la città, per assicurare un equilibrio tra la scala territoriale e quella locale. Il secondo livello riguarda invece la progettazione specifica degli ambiti urbani, che deve essere condotta in maniera accurata e con un approccio di ascolto continuo delle esigenze di tutti coloro che li abitano. Inoltre, la pianificazione locale deve essere basata su dati, informazioni e conoscenze specifiche, così da garantire decisioni fondate su evidenze scientifiche e in grado di guidare il cambiamento progressivo della città. Un ecosistema urbano ben progettato, che unisca sostenibilità ecologica e capacità di adattamento ai bisogni delle comunità, rappresenta lo strumento fondamentale per una transizione efficace verso modelli urbani più giusti e resilienti.
Una progettazione urbanistica orientata alla prossimità migliora la qualità della vita riducendo le disuguaglianze spaziali, abbattendo le barriere architettoniche e favorendo il senso di comunità. La disposizione degli spazi urbani incide sulla salute pubblica, sulla sicurezza e sulla coesione sociale. Un quartiere ben progettato offre opportunità di socializzazione, di attività fisica e di accesso a servizi essenziali, incidendo positivamente sul benessere complessivo.
Lei ha fatto riferimento alla visione “One Heath”. Qual è il valore della biodiversità e della prossimità alla biodiversità per il benessere?
La biodiversità urbana è un elemento essenziale per la resilienza ecologica e per il miglioramento della qualità della vita nelle città. Non si tratta solo di una questione ambientale, ma di un tema che coinvolge la salute pubblica, il benessere psicologico e la capacità di adattamento delle comunità urbane ai cambiamenti climatici. La presenza di spazi verdi e di ecosistemi naturali all’interno del tessuto urbano contribuisce a mitigare gli effetti delle isole di calore, ridurre l’inquinamento atmosferico e sonoro, migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua e favorire la ritenzione idrica, riducendo il rischio di alluvioni e dissesti idrogeologici.
Inoltre, la prossimità alla biodiversità ha un impatto diretto sulla salute mentale e sul benessere emotivo delle persone. Diversi studi dimostrano come il contatto con la natura riduca lo stress, migliori la concentrazione e favorisca il senso di appartenenza a una comunità. In un’ottica “One Health”, l’integrazione della biodiversità nei contesti urbani diventa quindi fondamentale per promuovere un equilibrio sano tra ambiente, società e sviluppo economico.
Progettare città che integrano la biodiversità significa andare oltre la semplice creazione di parchi e giardini per costruire un ecosistema urbano che valorizzi la presenza della natura in ogni sua forma. Questo richiede una pianificazione consapevole che riconosca l’importanza di corridoi ecologici, tetti verdi, infrastrutture permeabili e spazi pubblici multifunzionali in grado di ospitare una varietà di specie vegetali e animali. L’attenzione alla biodiversità non è quindi un aspetto secondario della progettazione urbana, ma una componente strutturale per garantire città più vivibili, sane e resilienti.
Quale ruolo può avere il counseling in questa epoca di transizioni e cambiamenti?
Il benessere individuale e collettivo passa anche attraverso la capacità di interpretare e vivere attivamente le trasformazioni e i cambiamenti che ci attendono. Il counseling può svolgere un ruolo cruciale nel supportare le persone nell’adattarsi alle trasformazioni urbane e nel gestire i cambiamenti che influenzano il loro benessere. Proponendo percorsi di ascolto e coinvolgimento attivo dei cittadini nei processi di trasformazione urbana, potrebbe agevolare la costruzione di una cultura e una pratica individuale e collettiva della prossimità, che tengano conto delle esigenze e delle aspettative di tutte le persone, favorendo una città più accogliente, inclusiva, resiliente e partecipata, così da stimolare il senso di comunità, elemento essenziale per il benessere collettivo. Infine, un counseling orientato alla prossimità e alla sostenibilità può promuovere una maggiore connessione tra le persone e lo spazio della città e i suoi luoghi, rafforzando la consapevolezza dell’importanza della biodiversità, della qualità ambientale e della costruzione di legami sociali solidi per una città più vivibile e armoniosa.
* Mecca S. (2023), Prossimità. Il benessere della città del futuro, Didapress, Firenze
Saverio Mecca
Architetto e professore emerito di Produzione e gestione dell’ambiente costruito dell’Università degli Studi di Firenze. È stato preside della Facoltà di Architettura e poi del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, dal novembre 2009 al novembre 2020. Dal giugno 2024 è assessore alla Transizione ecologica del comune di Scandicci.
Svolge attività di ricerca accademica su temi quali: prossimità e benessere nella città del futuro, patrimonio architettonico, conoscenza circolare e sviluppo sostenibile, gestione dei progetti e dei rischi.