
Per secoli, l’antropocentrismo ha dominato il pensiero occidentale, ponendo l’uomo al centro dell’universo, misura di tutte le cose, padrone della natura e artefice della storia. Oggi, questo paradigma non influenza solo l’impatto ambientale, ma anche il modo in cui concepiamo organizzazioni e sviluppo economico. Un approccio incentrato esclusivamente sull’uomo (spesso ridotto all’homo economicus, massimizzatore di profitto) tende a semplificare e controllare la realtà complessa, ignorando interdipendenze vitali.
Ma è sempre più evidente che questo paradigma è inadeguato a comprendere e a governare la complessità del mondo contemporaneo.
Superare l’antropocentrismo, però, non significa semplicemente “prendersi cura della natura” come risorsa utile all’uomo, ma uscire radicalmente dal punto di vista dei bisogni umani per riconoscere l’intelligenza intrinseca delle specie e dei sistemi viventi. L’intelligenza, in questa visione, non è monopolio dell’essere umano: è un fenomeno distribuito, plurale, emergente.
Per comprendere questa visione ci possono aiutare gli studi di Stefano Mancuso, botanico e neurobiologo vegetale che sostiene che è la vita stessa a essere intelligente: alberi che comunicano, funghi che condividono nutrienti attraverso reti invisibili, animali che prendono decisioni collettive senza leader.
Questa intelligenza diffusa sfida l’idea gerarchica che ci poneva in cima a una scala evolutiva.
Mancuso, infatti, rompe l’antico pregiudizio antropocentrico che considera l’intelligenza esclusiva degli animali (e, ancora più strettamente, degli esseri umani dotati di cervello), dimostrando invece che le piante, pur prive di organi centrali come il cervello, possiedono una intelligenza diffusa. Ogni loro cellula partecipa ai processi decisionali in modo distribuito e cooperativo, rendendo le piante estremamente adattabili e resilienti.
Il percorso evolutivo: una fatica necessaria
Uscire dagli schemi antropocentrici è un percorso profondamente faticoso per l’essere umano. Significa mettere in discussione convinzioni antiche e rassicuranti, affrontare l’incertezza, rinunciare all’illusione del controllo totale. Richiede un salto evolutivo di coscienza: dal predominio al dialogo, dalla separazione all’appartenenza.
La mente umana, plasmata da millenni di narrazioni centripete, fatica ad accettare l’idea di essere “una parte” e non “il tutto”. Eppure, solo attraverso questa difficile maturazione possiamo accedere a nuovi livelli di consapevolezza e di azione.
Nel suo libro La Nazione delle Piante, Mancuso propone di guardare a queste come modelli evolutivi di successo: vivono senza distruggere l’ambiente, cooperano invece di competere, generano più vita di quanta ne consumino. La loro capacità di adattarsi senza dominare è una lezione preziosa per una civiltà umana in cerca di nuovi modelli di sviluppo.
Paradigmi sistemici per un nuovo sguardo
A partire da questa comprensione allargata della vita come intelligenza diffusa, ci sono anche altri paradigmi (più o meno recenti) capaci di guidarci oltre l’antropocentrismo. Tra questi, l’olonomia proposta da Simon e Maria Moraes Robinson invita a concepire le organizzazioni non più come macchine da ottimizzare, ma come ecosistemi viventi. Ogni elemento al loro interno è interconnesso con gli altri in una rete dinamica di relazioni. In questa prospettiva, comprendere la complessità diventa un gesto partecipativo e co-creativo, non più un tentativo di controllo o di dominio.
Secondo la prospettiva olonomica, un’organizzazione prospera quando riconosce le relazioni che la compongono – tra persone, tra azienda e comunità, tra economia ed ecologia – e le gestisce in modo olistico.
Robinson e Robinson parlano infatti di un nuovo worldview in cui economia ed ecologia sono in equilibrio, orientando il business verso la sostenibilità e il benessere condiviso; attraverso casi di studio reali ed esercizi pratici, gli autori mostrano come leader e team possano sviluppare un approccio interdisciplinare capace di decodificare la complessità e guidare le organizzazioni verso un futuro sostenibile.
Del resto, già da tempo l’Economia del benessere ha promosso nuovi modelli che superando la centralità del PIL, valorizzano relazioni sociali, coesione comunitaria e sostenibilità ecologica come indicatori chiave della prosperità.
Il passaggio da un’economia estrattiva a un’economia rigenerativa, da una cultura del profitto a una cultura della cura, non può che partire da una nuova ecologia delle relazioni, in cui benessere personale e benessere collettivo si alimentano reciprocamente.
Ciò significa anche costruire spazi (fisici e simbolici) dove l’ascolto profondo, l’autenticità, il rispetto del silenzio siano valori condivisi. Significa onorare la diversità come risorsa, allenare l’empatia come muscolo sociale, riscoprire il senso del limite non come costrizione, ma come guida.
A questo postulato, fa da corollario il concetto di biofilia, reso celebre da Edward O. Wilson, che ci ricorda che il nostro bisogno di connessione con la natura non è un lusso, ma una necessità biologica. La mancanza di contatto con il vivente genera malessere, stress, alienazione. Il “deficit di natura” compromette non solo la salute fisica e psicologica, ma anche la nostra stessa identità ecologica, allontanandoci da ciò che profondamente siamo. (Ne parliamo ampiamente in questo numero, se volete approfondire).
Tutti questi paradigmi, se integrati, ci offrono strumenti preziosi per reinterpretare il nostro posto nel mondo, riconoscendo che la vita prospera non attraverso il dominio, ma attraverso la relazione.
De-costruire e ri-costruire senso attraverso il counseling
In questo scenario, anche il counseling assume un ruolo strategico. Non più solo come supporto al singolo individuo in crisi, ma come strumento sistemico per accompagnare persone e organizzazioni nella transizione verso modelli di senso nuovi.
Il counseling aiuta a decostruire i paradigmi obsoleti – competizione esasperata, gerarchia, produttività cieca – e a ricostruire visioni fondate su interdipendenza, cura, co-creazione.
Attraverso processi di ascolto profondo, facilitazione partecipativa e formazione alla complessità, il counseling promuove la capacità delle persone e dei gruppi di “pensarsi dentro i sistemi”, di abbracciare la vulnerabilità e la trasformazione come condizioni evolutive.
Ma tutto ciò richiede coraggio, visione e una nuova coscienza: la consapevolezza che ogni nostro gesto è parte di una danza più grande.
La corresponsabilità e il ruolo chiave della leadership
Ogni individuo, in qualunque ruolo personale o professionale si trovi, ha una parte di responsabilità nella costruzione di nuovi modelli organizzativi e culturali. Ma chi occupa ruoli di leadership ha una responsabilità ancora maggiore.
La leadership oggi è chiamata a essere facilitatrice di crescita più che detentrice di potere. Servono capacità di ascolto, di gestione dell’incertezza, di visione sistemica. Servono leader che sappiano coltivare la fiducia, promuovere relazioni autentiche e integrare valori ecologici e sociali nelle strategie d’impresa.
Non è più sufficiente essere efficaci o innovativi: è necessario essere evolutivi. Questo implica un continuo lavoro su di sé, una disponibilità a mettere in discussione le proprie certezze, a cambiare il proprio modo di vedere il mondo.
Sembrerebbe, quindi, che solo le organizzazioni (i sistemi) capaci di compiere questa evoluzione riusciranno a navigare la complessità del futuro, trasformando la vulnerabilità in forza generativa.
Conclusioni
Passare dal sé al tutto significa – come ci insegna Mancuso – abbandonare l’illusione dell’individuo autosufficiente, dell’organizzazione, della specie, per entrare in una logica di co-evoluzione. Le organizzazioni del futuro potrebbero essere habitat intelligenti, fiorenti, interdipendenti.
Eppure, dobbiamo riconoscere con onestà che non è affatto scontato che siamo pronti a compiere questo passo. Il cambiamento richiesto non si limita a qualche aggiustamento superficiale: esige una trasformazione profonda, che tocca le radici stesse del nostro modo di pensare e di agire. Ci viene chiesto di abbandonare sicurezze antiche, di navigare nell’incertezza, di accettare la vulnerabilità come forza e non come debolezza.
Non sorprende che molti reagiscano con resistenza o paura. I sistemi sociali, culturali e organizzativi tendono a perpetuarsi, proteggendo l’esistente. Uscire da queste logiche implica un impegno quotidiano e una scelta di consapevolezza reiterata: non basta volere il cambiamento, bisogna anche sostenerlo nel tempo, attraversando inevitabili fasi di dubbio, fatica e smarrimento.
Non è l’individuo da solo che deve “guarire”, ma è l’intero sistema relazionale, ecologico, culturale da trasformare. Ogni processo di crescita personale diventa, in questa prospettiva, un gesto politico, un atto ecologico, un seme di futuro. Ogni esperienza di contatto autentico con sé e con gli altri può generare effetti a catena, risuonando in famiglie, gruppi, organizzazioni, comunità.
La corresponsabilità che ci riguarda tutti, in ogni ruolo che occupiamo, è dunque immensa.
Non esistono scorciatoie né deleghe possibili: il futuro non dipende da pochi eroi illuminati, ma da milioni di scelte consapevoli, di piccoli atti di coraggio, di micro-rivoluzioni quotidiane che, intrecciandosi, possono davvero cambiare il mondo. Esattamente come – ci ricorda Mancuso – fanno le piante nella loro Nazione.
La domanda che ci dobbiamo porre è dunque esistenziale ed è individuale e collettiva allo stesso tempo:
“Siamo davvero pronti a compiere questo passo?”.
Bibliografia
• Barbiero G. & Berto R. (2016), La biofilia. Il nostro legame innato con la natura, Edizioni Erickson, Trento
• Bhakti Tirtha Swami (2007), Leadership e spiritualità, Macro Edizioni, Bertinoro (FC)
• Biggeri G.A., Bruni L. (2021), Economia della Felicità, Edizioni Laterza, Bari
• Greenleaf R.K. (1977), Servant Leadership: A Journey into the Nature of Legitimate Power and Greatness, Paulist Press, Mahwah NJ
• Mancuso S. (2018), La Nazione delle Piante, Laterza, Bari
• Robinson S., Moraes Robinson M. (2014), Holonomics: Business Where People and Planet Matter, Floris Books, Edimburgo
• Wilson E.O. (1984), Biophilia, Harvard University Press, Cambridge MA
Photo credit: foto di Giacomo Madonini, parte della raccolta Cromatica.
“Un fungo che ruota e si chiude su se stesso perché altro non sa fare che essere se stesso. L’uomo, invece, potrebbe essere un po’ meno antropocentrico se accettasse di poter esistere senza essere troppo se stesso”.
Giacomo Madonini
Nato a Milano nel 1998, coltiva la passione per le arti visive, utilizzando lo strumento fotografico come mezzo espressivo.
Ha una formazione psicologica e neuroscientifica che lo spinge verso una ricerca all’interno della psiche umana e della sua manifestazione sensibile.
Utilizza principalmente strumenti fotografici tradizionali e provvede autonomamente allo sviluppo delle pellicole e alla stampa in camera oscura attraverso ingranditore.
www.giacomomadonini.com